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Transizione alla democrazia o ritorno all’autoritarismo?

Dopo l’Uruguay di Vazquez, l’Argentina di Kirchner, il Venezuela di Chavez, il Brasile di Lula, il Cile di Bachelet e la Bolivia di Morales, potremmo assistere ad un Messico di Andrés Manuel López Obrador (abbreviato dai media come Amlo). Se l’America Latina sta cercando di spostare il suo baricentro verso sinistra, nonostante la presenza di personaggi come Uribe in Colombia, esistono però reali ostacoli a ché la frontiera a Sud degli Stati Uniti d’America si spinga verso una reale sterzata a sinistra, intendendo una frontiera non metaforica, ma quella reale che al momento ospita un contingente formato da migliaia di agenti della polizia degli Stati Uniti per la prossima costruzione di un muro: soluzione finale all’immigrazione ispanica negli USA.
Dopo 71 anni di governo del «Partito-Stato» PRI, nel 2000 Vicente Fox, candidato del PAN, vince le elezioni: tutto ha lasciato immaginare che il paese avesse finalmente terminato quella lenta fase di transizione alla democrazia auspicata già dalla crisi economica del 1982, sentimento fortificato con la successiva crisi del 1994 che ha aperto le possibilità per l’esistenza di una reale opposizione. Il sistema «Partito-Stato», istituzionalmente forte attraverso un rigido corporativismo ed una forte irriggimentazione dei settori sociali, ha effettivamente iniziato una fase di progressiva destrutturazione ed indebolimento che si è però tradotta in un sistema clientelare al limite del farsesco per gli scandali che hanno riempito le cronache.
In un panorama elettorale in cui tre sono i candidati forti: Madrazo (PRI), Calderón (PAN) e López Obrador (PRD), non si può però contare su una legge elettorale, rimasta sostanzialmente intonsa, che tenga conto di fatto del multipartitismo e delle regole del sistema democratico.
Alla vigilia delle prossime elezioni (presidenziali e per le Camere) si è dispiegato in tutta la sua importanza il rapporto tra il Governo federale ed i media attraverso l’abuso di questo canale di manipolazione dell’opinione pubblica, formalizzato per decreto con la Ley Televisa che inaugura anche per il Messico il monopolio televisivo. I partiti d’opposizione hanno iniziato una battaglia legale per evitare quelle che sono state definite le «elezioni di Stato», paventate per il ricorso ad ingenti somme di denaro pubblico investite dal presidente Fox per la campagna elettorale del candidato panista, nonché per una deprimente campagna diffamatoria contro il candidato in testa ai sondaggi: Amlo.
Questo equilibrio è stato messo in discussione non solo dalle questioni inerenti la campagna elettorale, che spingono gli organi di controllo al centro di una bufera giuridica, ma dai drammatici fatti di Atenco, che han visto, a pochi chilometri di distanza da una delle piú popolose città del mondo, un dispiegamento eccezionale di forze dell’ordine. Il 4 maggio oltre 3000 agenti appartenenti a cinque differenti corpi speciali hanno assediato il territorio di Texcoco per «sedare» la rivolta popolare iniziata il giorno precedente. Una straordinaria strategia della tensione, preparata da esperti mediatici di Washington consultati dal Governo federale messicano, accolta dall’opinione pubblica con l’ausilio dei principali mezzi d’informazione, contro i cosiddetti macheteros, in realtà pochi contadini venditori ambulanti di fiori davanti al mercato locale, già aderenti all’FPDT, al cui appoggio sono accorsi, con l’escalation della repressione, membri del Frente e aderenti alla Otra Campaà Â±a.
All’opinione pubblica messicana, già cinica verso i metodi della polizia federale, col passare dei giorni si è palesata la costruzione dell’atto di repressione, grazie anche ad una campagna di informazione internazionale che ha dato voce alla verità sulla morte di due giovani, a giornaliste straniere testimoni dirette di drammatici abusi e violenze sessuali perpetrati contro gli arrestati ed allo sciopero della fame portato avanti da alcune donne dentro e fuori da Santiaguito, il carcere che ospita molti degli oltre duecento catturati. Il giro di boa è avvenuto il 22 maggio quando un evento tra spettacolo ed informazione inaugurato dalla comunità artistica messicana in solidarietà con le donne di Atenco, ha divulgato tutte le informazioni raccolte fuori dai canali mainstream: da quel momento si susseguono manifestazioni per la liberazione dei prigionieri di Atenco, tra cui spiccano i nomi di alcuni importanti leader dell’FPDT, a Città del Messico ed in tutto il mondo.
In questo drammatico quadro ci si potrebbe chiedere a chi ha giovato l’indurre ad una sollevazione di popolo con l’Operación Rescate, già pronta con largo anticipo e firmata all’alba del 4 maggio di pugno dal presidente Fox. Sicuramente non ha giovato al candidato del PRD, già ampiamente criticato dall’EZLN e dagli aderenti alla Sexta, ben consapevoli che le strategie di opere faraoniche nelle parti già sviluppate della capitale rientrano in un piano politico che non può portare utilità reale alla maggior parte della popolazione che vive di espedienti o grazie a commerci illegali in cronico aumento.
Probabilmente le elezioni del 2 luglio prossimo, salvo grandi frodi elettorali come in passato, vedranno vincitore il candidato del PRD, cui spetterà un compito non semplice in una terra di mezzo tra un’America Latina in cui prende piede un asse ormai forte ed indipendente sulla decisiva questione energetica (con l’apice raggiunto dalla nazionalizzazione firmata da Morales) e gli Stati Uniti di Bush. Il paese, che al Nord è economicamente dipendente dagli equilibri col confine settentrionale, al Sud, come nel suo centro quantitativamente e socialmente nevralgico, Città del Messico, rimane in cronico allarme idro-geologico. Nella parte maggiormente sviluppata della città si assiste ad uno scempio di quelle risorse idriche ancora disponibili nonostante i vetusti impianti di distribuzione e proprio dove questa problematica è piú acuta e si aggroviglia alla decadenza ed il sottosviluppo metropolitano manca lo strumento organizzativo di cui la Otra Campaà Â±a si è fatta capillarmente portatrice nelle zone periferiche del paese.

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SIGLE
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PAN – Partido Acción Nacional, candidato: Felipe Calderón Hinojosa. Fondato nel 1939 da Manuel Gómez Morín e schierato a destra, dal 1982 ha iniziato un rapido sviluppo facendosi portatore delle istanze del ceto industriale del Nord del paese e raggiungendo nel 1994 il ceto borghese e filo-USA di tutto il paese.

PRD – Partido de la Revolución Democrática, candidato: Andrés Manuel López Obrador. Fondato nel 1989 dalla fusione della corrente democratica del PRI, con il Partito comunista messicano e altre forze politiche di sinistra. A capo del partito si è distinto Cuahtémoc Cárdenas, figlio dell’ex presidente Lázaro Cárdenas (personaggio decisivo per la riforma agraria e la nazionalizzazione del petrolio negli anni Trenta). Sulla scia della popolarità paterna Cuahtémoc Cárdenas si è presentato alle elezioni del 1988 e 1994 con risultati vanificati da enormi frodi elettorali. Alle presidenziali del 2000, dopo il governo del Distretto Federale (Città del Messico), è stato scalzato dal candidato panista: Vicente Fox Quesada. Come Cárdenas, Amlo si è imposto sulla scena politica per l’austerità con cui ha condotto il suo governo sulla capitale con una politica di miglioramento per le infrastrutture, l’educazione ed un avvicinamento agli strati piú deboli della popolazione.

PRI – Partido Revolucionario Institucional, candidato: Roberto Madrazo. Fondato nel 1929 dall’ex presidente Plutarco Elías Calles con il nome di Partido Nacional Revolucionario per stabilizzare il paese, diventa con Lázaro Cárdenas Partido de la Revolución Mexicana e dal 1946, nuova epoca in cui il partito non è piú condotto da leaders rivoluzionari, adotta l’attuale nome. In 71 anni di dominio indiscusso il partito si costituisce in un apparato statale endemicamente saldo sulla società messicana. Le crisi economiche del 1982 e del 1994 si riflettono con uno scossone sulla politica messicana ed il PRI si vedrà prima derubato di alcuni governi statali fino alle elezioni del 2000 dove perde la Presidenza.

EZLN – Ejército Zapatista de Liberación Nacional, nato nel 1983, si è imposto sulla scena internazionale il I gennaio 1994 occupando militarmente alcune località in Chiapas e tuonando una dichiarazione di guerra al governo Salinas. Negli anni, grazie ad un uso intelligente dei mezzi di comunicazione ed attraverso la figura originale del Subcomandante Marcos, ha portato avanti istanze di autodeterminazione degli indios e conseguito risultati politici importanti: formazione di municipi autonomi, parziale demilitarizzazione del Chiapas e la promessa di una riforma costituzionale per il riconoscimento dei popoli e della cultura indigena. Dopo un lungo silenzio l’estate scorsa ha tenuto un’ampia assemblea che ha coinvolto tutti i popoli zapatisti. I risultati sono confluiti nella Sexta Declaración che mira a congiungere i gruppi di sinistra attraverso la Otra Campaà Â±a: un viaggio che Marcos, con il nome di Delegado Zero, ha intrapreso dal I gennaio 2006 per tutto il paese al fine di formare un progetto politico critico, ma unificante le necessità reali della popolazione indigena e contadina.

FPDT – Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra, conosciuto dal 2002 per la vittoriosa opposizione all’esproprio di terreni agricoli a Texcoco per la costruzione di un nuovo aeroporto che avrebbe dovuto sostituire quello della capitale. Aderente alla Otra Campaà Â±a, il Frente si è imposto come simbolo per tutti i campesià Â±os messicani.

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http://indymedia.ch/it/2006/07/41814.shtml

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si ringrazia om per l’idea del titolo

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