Gramsci,  testi

Cosa farà  il Giappone?

Casa Penale di Turi, 19 novembre 1928
Carissima Giulia,
sono stato molto cattivo con te. Le giustificazioni, in verità , non sono molto fondate. Dopo la partenza da Milano, mi sono stancato enormemente. Tutte le mie condizioni di vita si sono aggravate. Ho sentito di più il carcere. Ora sto un po’ meglio. Lo stesso fatto che è avvenuta una certa stabilizzazione, che la vita si svolge secondo certe regole, ha normalizzato in un certo senso anche il corso dei miei pensieri.
Sono stato molto felice nel ricevere la tua fotografia e quella dei bambini. Quando si forma troppa distanza di tempo tra le impressioni visive, l’intervallo si riempie dì brutti pensieri; specialmente per Giuliano, non sapevo che pensare, non avevo nessuna immagine che mi sorreggesse la memoria. Ora sono proprio contento. In generale, da qualche mese, mi sento più isolato e tagliato via da tutta la vita del mondo. Leggo molto, libri e riviste; molto, relativamente alla vita intellettuale che si può condurre in una reclusione. Ma ho perduto molto del gusto della lettura. I libri e le riviste danno solo idee generali, abbozzi di correnti generali della vita del mondo (più o meno ben riusciti), ma non possono dare l’impressione immediata, diretta, viva, della vita di Pietro, Paolo, Giovanni, di singole persone reali, senza capire i quali non si può neanche capire ciò che è universalizzato e generalizzato. Molti anni fa, nel ’19 e ’20, conoscevo un giovane operaio, molto ingenuo e molto simpatico. Ogni sabato sera, dopo l’uscita dal lavoro, veniva nel mio ufficio per essere dei primi a leggere la rivista che io compilavo. Egli mi diceva spesso: «Non ho potuto dormire, oppresso dal pensiero: cosa farà il Giappone?». Proprio il Giappone lo ossessionava, perché nei giornali italiani del Giappone si parla solo quando muore il Mikado o un terremoto uccide almeno diecimila persone. Il Giappone gli sfuggiva; non riusciva perciò ad avere un quadro sistematico delle forze del mondo, e perciò gli pareva di non comprendere nulla di nulla. Io allora ridevo di un tale stato d’animo e burlavo il mio amico. Oggi lo capisco. Anch’io ho il mio Giappone: è la vita di Pietro, di Paolo e anche di Giulia, di Delio, di Giuliano. Mi manca proprio la sensazione molecolare: come potrei, anche sommariamente, percepire la vita del tutto complesso? Anche la mia vita propria si sente come intirizzita e paralizzata: come potrebbe essere diversamente se mi manca la sensazione della tua vita e di quella dei bambini? Ancora: ho sempre la paura di essere soverchiato dalla routine carceraria. E questa una macchina mostruosa che schiaccia e livella secondo una certa serie. Quando vedo agire e sento parlare uomini che sono da cinque, otto, dieci anni in carcere, e osservo le deformazioni psichiche che essi hanno subito, davvero rabbrividisco, e sono dubbioso nella previsione di me stesso. Penso che anche gli altri hanno pensato (non tutti ma almeno qualcuno) di non lasciarsi soverchiare e invece, senza accorgersene neppure, tanto il processo è lento e molecolare, si trovano oggi cambiati e non lo sanno, non possono giudicarlo, perché essi sono completamente cambiati. Certo io resisterò. Ma, per esempio, mi accorgo che non so più ridere di me stesso, come una volta, e questo è grave. Cara Giulia, ti interessano tutte queste mie chiacchiere? E ti danno un’idea della mia vita? Però, mi interesso anche di ciò che avviene nel mondo, sai. In quest’ultimo tempo ho letto una certa quantità di libri sull’attività cattolica. Ecco un nuovo «Giappone»: attraverso quali fasi passerà il radicalismo francese per scindersi e dare vita a un partito cattolico francese? Questo problema «non mi lascia dormire» come avveniva per quel mio giovane amico. E anche altri naturalmente. Ti è piaciuto il tagliacarte? Sai che mi è costato quasi un mese di lavoro e mezzi i polpastrelli consumati?
Cara, scrivimi un po’ diffusamente di te e dei bimbi. Dovresti mandarmi le vostre fotografie almeno ogni sei mesi, in modo che io possa seguire il loro sviluppo e vedere il tuo sorriso più spesso. Ti abbraccio teneramente, cara.
Antonio

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Che cosa farà il Giappone? Mentre il blog di Bea è in vacanza si fa un po’ più di fatica a seguire… 😛
Io credo che molte persone abbiano il proprio “Giappone”, nel senso indicato da Gramsci nella lettera sopra (che un amico mi ha ricordato, in riferimento ai miei nuovissimi interessi). E penso che questo afflato verso il proprio “Giappone” sia inscindibile dalla ricerca, dalla speranza. Se ci tolgono il nostro “Giappone”, se non riusciamo a vederlo, ci spegniamo, pian piano. Si affievolisce quel fuoco che abbiamo dentro e che ci spinge alla ricerca, alla corsa, al fare, fare, fare, non tanto per un obiettivo pragmatico, ben delineato, ma incondizionatamente.
Forse un po’ mi sento come l’operaio ingenuo, e ancora un po’ sciocca, visto che mi sento svolazzare testardamente contro quella luce, come una falena impazzita attorno ad una lampadina. Ma probabilmente questo è il mio carattere e il mio atteggiamento verso le cose che mi piacciono e che inevitabilmente diventano ossessioni. E senza ossessioni, ho provato, vado spegnendomi.
E’ abbastanza difficile riuscire a collocare razionalmente ciò che ora mi circonda con quello che ho pensato, creduto, inteso e sto tentando di trovare una chiave di lettura per capire se, come una gazza ladra, sono semplicemente attiratta da brillocchi. Però… quando ti ritrovi a pensare profondamente a qualcosa, quando nei racconti ritrovi molto di tuo, empatia, ti dai spiegazioni o forse ulteriori domande, io credo che chi e cosa ci dà quegli input non sia in contrasto con ciò in cui crediamo, o forse lo è, ma solo in superficie.

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