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Oh mom!

– Allora, arums, che ha fatto in tutto questo tempo?
beh, non molto, sa, solite cose, lavoro, il giapponese (la lingua), soprattutto ho tweettato tanto.

– Ah, dunque lei usa twitter…
Sì. A dire il vero scrivo soprattutto cazzate su idol giapponesi e coreani con le mie amichette, avrei anche un account identi.ca, ma quello non lo uso di fatto… ci condividerei solo cose serie… e in questo periodo di cose serie me ne occupo ben poco.

– Davvero? Non l’avrei mai detto.
Già. Ho sentito addirittura che mi si reputa “impegnata”… la cosa mi ha fatto ridere.

– Prego, mi spieghi.
Mah… sa… una volta io studiavo Gramsci, poi è successo quello che è successo. E visto che con la mia laurea e il mio dottorato e le mie cinque lingue e tutto il resto mi ci posso pulire il culo, beh, ho iniziato a sentire il senso di fallimento pervadermi profondamente…

– Il senso di fallimento?
Sì, beh, dalle discussioni con amici ed ex-colleghi è una sensazione abbastanza comune. Sa, uno studia una vita, cerca di far le cose perbenino, di stare dalla parte degli onesti, ma poi si rende conto che gli onesti non ci sono e così arriva un momento in cui per sopravvivere sogni di fare il cassiere all’Esselunga o manovalanza di programmazione pur di poter portare a casa la pagnotta.

– Capisco, ma più precisamente, mi dica, perché non *lotta* più?
Penso che sia una questione di fiducia negli altri, che in questo momento, da parte mia, è molto bassa.

– Dunque lei si è data al giapponese perché…
Ecco, veramente da agosto, con gli strascichi tragici di Fukushima e per alcune vicissitudini personali, mi sono data al coreano (il doppio senso è voluto). Così, maneggiavo file video, tagli e cuci, montaggio, ho iniziato a far video sugli idol giapponesi e coreani. Ed è venuto fuori anche qualcosa di decente.

– Cosa intende per “decente”?
Beh, qualcosa che mandi un messaggio. Il video, la costruzione di una storia serve a quello, per me, mandare un messaggio, poi c’è chi capisce, chi no. Ma la cosa più importante per me adesso è parlare una lingua che sia comprensibile a chi, secondo me, è sulla strada giusta.

– Non capisco.
Ecco, vede, io credo che il lavaggio del cervello culturale sia ormai un dato di fatto che non si può affrontare con lo snobismo culturale. Inoltre, credo che il tipo di concentrazione a cui internet obbliga (volenti o no, consci o meno) i giovani sia un ostacolo insormontabile. Le soluzioni sono due: o li prendi a mazzate finché imparano o inizi a parlare la loro lingua. Nonostante le accuse di soviettismo che una volta mi sono beccata, io lavoro sulla seconda opzione. Non possiamo pretendere di far parlare la nostra lingua a chi ogni giorno ha strumenti unicamente adatti per un’altra lingua, un altro modo di lavorare, un altro modo di capire.

– Lei crede che i “vecchi metodi” siano snobismo culturale?
No. Però diciamocela tutta… se leggi Baricco o simili, veramente credi di esser tanto meglio dello zarro che ascolta Gigi d’Agostino o della fangirl che ascolta i Super Junior?
Per snobismo culturale intendo buona parte della sinistra (o che in quella crede di riconoscersi e bla bla) che continua a parlare 1. di temi lontanissimi dalla realtà quotidiana dei giovani (e come realtà intendo anche l’immaginario) 2. usa un linguaggio ostico, elitario. Orbene, se sei di sinistra, vai a fare l’elitario da qualche altra parte.
Una volta si parlava di torre d’avorio per i grandi intellettuali, ora mi sembra che il discorso si possa estendere a molti esempi della sinistra (o che tale si crede) contemporanea.

– Insomma… un ritorno al popolo, il popolo bue.
Ma no, senta, non mi fraintenda. Se uno inizia ad usare un registro linguistico ed un immaginario che appartiene ai giovani non vuol dire che concettualmente non possa introdurre temi. Il difficile è trovare la maniera per interessare, per mettere il giusto input. Ma questo è un lavoro che va fatto in massa, ma in Italia per carità, ognuno deve dimostrare la sua superiorità culturale con ampio uso di citazioni e concetti presi in prestito da vattelapesca, secondo me portando avanti un discorso volgare ed elitario.

– Volgare?
Sì, nel senso di pacchiano.
Io sono per semplificare e rendere intelleggibile e ci terrei anche a specificare *non* rendere semplicistico.
Poi è certo concetti come la divisione del lavoro, produzione, materialismo storico e chi più ne ha più ne metta, vanno certo approfonditi, ma non puoi approcciarti in quella maniera, altrimenti vai a vendere roba tipo Lotta comunista porta a porta.
Dobbiamo anche renderci conto che se noi stessi abbiamo difficoltà a centrare, inglobare, rispiegarci molti concetti, figurati chi non ha studiato quello tutta la vita… e non puoi iniziare sparando a zero su estetica, epistemologia e bla bla, ti sputerebbero in occhio e, secondo me, farebbero pure bene.

– Insomma, tutto questo discorso per dirci cosa?
Boh, che forse una stradina impervia c’è.

– Vuol farci qualche esempio?
Va bene. Non so se apprezzerete, ma spiego prima di tutto che nel seguente video ci sono scene tratte da un film coreano di qualche anno fa (la mia recensione qui) sulla guerra di Corea. Il tema non è così nazionalista quanto parrebbe. Il protagonista è un cantante e attore coreano molto amato sia in Corea che nel resto del mondo. Da quel film ho cercato di trarre quello che mi serviva per definire guerra e di uno dei messaggi che mandava (il ragazzo, studente, che parte in guerra, lascia la madre sola, nel corpo a corpo con il nemico rivede se stesso sia in un ragazzino che in un uomo in fin di vita che chiama la madre) ho fatto il fulcro del video: descrivere alla madre l’assurdità della guerra, la tragedia dei corpi massacrati, la perdita di contatto con la realtà finché il ragazzo non incontra un’altra figura, un’infermiera, vede una madre e decide di girare le spalle a quello spettacolo disumano.

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