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Ernest Renan, Qu’est-ce qu’une nation

Appunti riguardo Qu’est-ce qu’une nation di Ernest Renan

Alcune note biografiche

Joseph Ernest Renan nasce a Tréguier in Bretagna nel 1823 e muore a Parigi nel 1892.

Figlio di un repubblicano e di madre monarchica, rimane turbato dalle idee politiche contrastanti dei genitori; a 15 anni, è riconosciuto come dotato studente ed è ammesso in un blasonato collegio ecclesiastico parigino. Con gli anni perde fiducia nei confronti del cattolicesimo e dopo la prima inclinazione a diventare sacerdote, si avvicina man mano ad Hegel, Kant ed Herder, passando dalla teologia cattolica, in cui nota contraddizioni insanabili, all’interesse per verità verificabili come la matematica. A concretizzare questa sua aspirazione saranno però gli studi filologici intrapresi al Collegio St Sulpice. Dopo la laurea entra nella Chiesa e comincia i suoi studi di ebraico.
L’attenzione filologica con cui analizza le incongruenze del Vecchio Testamento lo allontanano definitivamente dalla carriera sacerdotale. Nel 1845 rompe i suoi legami con la vita religiosa e continua le sue ricerche di filologia semitica, e acquisisce contestualmente una conoscenza di base delle scienze naturali. Diventa direttore di liceo a Vendome ed è nominato ordinario di filosofia. Ispirandosi a San Paolo ed agli apostoli sviluppa il proprio interesse per la vita sociale allargata, il senso di fraternità, il sentimento democratico. La sua Vita di Gesú, apparsa nel 1863, denota come Renan preferisca soffermarsi sull’esistenza storica del Cristo e sul suo esempio, negandone la divinità.
Considerato padre della moderna critica storico-religiosa, per quanto riguarda il suo pensiero politico, è da rilevare come gli avvenimenti storico-politici abbiano una portata enorme nella sua biografia politico-intellettuale: la guerra franco-prussiana è il momento di svolta del suo pensiero.

La guerra franco-prussiana 1870-1871
Dopo sei mesi di guerra, l’esercito prussiano sconfigge definitivamente quello francese nel nord della Francia, Parigi è assediata; la cattura di Napoleone III determina una rivoluzione non violenta. In questo quadro storico ha luogo l’esperienza della Comune di Parigi, appoggiata dalla milizia territoriale locale che non accetta la sconfitta e presa ad esempio e diventata un simbolo come primo esperimento di società comunista, con la dissoluzione dello Stato e nonostante una durata limitata a poco piú d’un mese: sarà uno degli episodi storici con cui pensatori politici marxisti o rivoluzionari si confronteranno (pensiamo anche solo all’importanza che ebbe per Marx, che infastidito dal profetismo, non amava parlare del futuro della società comunista, fa esplicito riferimento a o per Lenin).

La vittoria prussiana ha come conseguenza, importante per il nostro discorso, l’annessione dell’Alsazia e dalla Lorena da parte dell’Impero tedesco.

In questo quadro storico E. Renan è accomunato agli intellettuali francesi dell’epoca per:
– visione gradualista del processo storico
– fiducia nella scienza come strumento di governo
– avversione per la democrazia ed il suffragio universale
– dottrina dell’élitisme civilisateur

si differenzia per:
– un’ammirazione per la Germania
– visione continuista del 1789: già nel 1848 vide l’energia rivoluzionaria scaturita dalle masse che innalzavano barricate in Parigi, in loro vide i continuatori della tradizione francese, piuttosto che nella plutocratica monarchia orleanista.

La politica aggressiva prussiana, lo spinge comunque a lamentare che l’amato idealismo tedesco si sia fatto soppiantare dal fanatismo prussiano: sostiene che la Prussia passerà, mentre la Germania, liberale, democratica, pacifica, resterà.

Renan appoggia Thiers, primo presidente della Repubblica francese, osteggia la Restaurazione borbonica, rivaluta la democrazia, ma non approva la politica del secondo presidente della Repubblica Mac-Mahon, che considera imbrigliato dalle trame dell’integralismo cattolico.

Il suo irenismo (attitudine pacificatrice tra cristiani di diverse confessioni, che parte dall’idea erasmiana di tolleranza) non può tollerare una spaccatura nello spirito pubblico, che arma due Francie opposte:

– quella democratica repubblicana

– quella monarchica clericale e militarista

Ricerca così un’intesa, non una volgare compromissione, da ritrovare nell’ancoraggio ai valori che uniscono, non in ciò che divide.

Da queste due condizioni storiche, la Francia politicamente divisa al suo interno e depredata delle due province dell’Alsazia e della Lorena, nasce la Conferenza tenuta alla Sorbona l’11 marzo 1882, e pubblicata pochi giorni dopo sulle pagine dell’ «Association scientifique de France».

***

L’idea di nazione
Prendiamo qui in considerazione la celebre distinzione presentata da Federico Chabod durante le sue lezioni universitarie tra il 1943 ed il 1944, pubblicate da Laterza nel 1961 sotto il titolo L’idea di nazione.

Secondo Chabod esistono due tradizioni che sviluppano due concetti differenti di nazione:

1.
quella germanca che Chabod ritiene negativa perché ha come conseguenza il nazionalsocialismo, che guarda al sangue ed al suolo, è caratterizzata da ispirazioni di tipo naturalistico, pur presentando una pregnante forza politica.

2.
quella francese, che prende piede tra Seicento e Settecento, quando invece della nazione c’è ancora il Re, (Luigi XIV, l’état c’est moi), per cui i sudditi sono cosa del Re. Nazione era considerata come parola pericolosa ed antiassolutista, mentre inizia a collegarsi ad altri due termini:
– sovranità 
– cittadinanza

La nazione può limitare il potere assoluto del sovrano; il Parlamento è visto come l’Assemblea della nazione, secondo quell’idea che Rousseau sintetizzerà nel concetto di volontà generale.

Il punto d’arrivo del concetto di nazione per la tradizione francese è sicuramente la Grande Révolution che trasforma i sudditi in cittadini, la nazione perde il suo significato naturalistico ed il concetto diventa chiaramente progressivo: essere francese significa essere citoyen e nessun corpo sociale può prendere il potere se non è espressione dei cittadini, secondo un principio universalistico.

Specifichiamo meglio la concezione tedesca secondo Chabod, in quanto a questa si oppone fermamente l’idea di nazione portata avanti da Renan: Chabod ritiene che il principio naturalistico di questa tradizione sfoci necessariamente nel razzismo, e identifica nelle origini del concetto tedesco una connotazione etnica.

Nel tardo Settecento e durante il Romanticismo si avverte l’esaltazione dell’individualità: l’uomo non è meramente un singolo, ma corrisponde anche ad un intero popolo, per esempio nei Discorsi alla nazione tedesca di Fichte, concentrati sul dovere e la capacità pedagogica del popolo tedesco, culturalmente superiore, l’autore, domandandosi cosa sia il popolo trova un connotato saliente del popolo tedesco nell’opposizione dei Germani all’invasione romana. Vi è qui un’esaltazione della diversità, l’identità è ricercata attraverso la distinzione.

Johann Gottfried Herder per primo, nella sua Ancora una filosofia della storia (1774) rende il senso dell’individualità potente e moderno, esalta:

la lingua nazionale, espressione della maniera di pensare, del carattere di un popolo (così il tedesco, lingua pura, non corrotta, ha permesso ai tedeschi di mantenere uno spirito puro – Fichte)

– la poesia nazionale, sublimazione della lingua ed interprete dell’anima della nazione

Herder sa di esasperare il senso dell’individualità nazionale che è un pregiudizio e limitato nazionalismo (Nationalismus), ma non trova spregiativo il pregiudizio, anzi lo giudica quintessenza della tradizione, utile e positivo: esso spinge i popoli verso le proprie inclinazioni, per cui lo Stato deve assecondare queste inclinazioni accordando le leggi alle leggi naturali di un popolo.

Si oppone così alla visione della Storia come evoluzione di una ragione astratta ed identica ovunque.
Il nazionalismo di Herder è l’attaccamento alla propria cultura nazionale, da proteggere contro il cosmopolitismo e l’assimilazione culturale, non si pone obiettivi sulle forme di governo, ma si focalizza sull’unità spirituale del popolo.

In contrapposizione alla concezione francese, pregna di politica, quella tedesca non investe ancora questo ambito riconoscendo la nazione nel solo ambito culturale.

Qu’est qu’une nation?


Nel volume della Donzelli (1993) tradotto da Gregorio De Paola e con un’introduzione di Silvio Lanaro, è presente anche, oltre ad uno scritto dettato dallo stato d’animo di Renan durante la guerra, intitolato La guerra franco-prussiana ed apparso sulla “Revue des Deux Mondes” il 15 settembre 1870, uno scambio epistolare tra Renan e David F. Strauss*, i due testi sono una riprova del genuino ardore ed interesse del bretone per il mondo tedesco, che tanto gli costò a livello pubblico e che talvolta è stato giudicato antesignano del collaborazionismo francese verso i nazisti.

*David Friedrich Strauss, autore già di una Vita di Gesú nel 1835, Renan vi è accomunato per la visione della biografia del Cristo come uomo eticamente perfetto.

Ricordate ora a grandi linee le due tradizioni nazionaliste riconosciute da Chabod, leggendo il testo di Renan Qu’est qu’une nation? si perviene immediatamente al significato della celebre frase la nazione è un plebiscito di tutti i giorni, nonostante alcune recenti interpretazioni, per lo piú legate ad altri scritti e alla biografia del pensatore, tendano, forzando, a trarre da questa conferenza un significato ambiguo.

In Renan l’idea elettiva della nazionazione come strenua volontà di stare insieme è nutrita ed accompagnata da un forte senso delle patrie come formazione di lungo periodo, delle identità culturali come frutto esclusivo dell’accumulo di passato, della pluralità di forme giuridiche che può scaturire dal plebiscito di tutti i giorni.

***

Il testo è diviso in tre paragrafi preceduti da una breve introduzione.

Il primo paragrafo, dopo un rapido excursus storico che cita esempi di nascita di civiltà in alcune epoche, per distinguerle dalla nazione, Renan accenna appena un’osservazione che sarà in seguito sviluppata dagli storiografi moderni, la nazione come costruzione storiografica:

l’oblio, e dirò persino l’errore storico, costituiscono un fattore essenziale nella creazione di una nazione
[…] (p. 7)

l’essenza di una nazione sta nel fatto che tutti i suoi individui condividano un patrimonio comune, ma anche nel fatto che tutti abbiano dimenticato molte altre cose. Nessun cittadino francese sa se è burgundo, alano, visigoto; ogni cittadino francese deve aver dimenticato la notte di San Bartolomeo, i massacri del XIII secolo nel Sud. In Francia non ci sono dieci famiglie in grado di fornire la prova di un’origine franca, e inoltre una tale prova sarebbe fondamentalmente difettosa, a cusa dei mille incroci sconosciuti che possono fuorviare tutte le teorie dei genealogisti.

La nazione moderna è dunque un risultato storico prodotto da una serie di fatti convergenti nella stessa direzione.
(p. 8 )

Molte nazioni, continua, sono state create da dinastie in epoca feudale,

tuttavia tale legge non è assoluta. La Svizzera e gli Stati Uniti, che si sono formati come agglomerazioni di aggiunte successive, non hanno alcuna base dinastica
[…] una nazione può esistere senza principio dinastico, e persino [che] nazioni formate da dinastie possono separarsene senza perciò cessare di esistere. […] Oltre al diritto dinastico, c’è il principio nazionale. Su quale criterio fondare questo diritto nazionale? da quali segni riconoscerlo? da quale fatto tangibile farlo derivare? (pp. 10-11)

L’autore elenca ora una serie di fattori comunemente intesi per far riferimento al concetto di nazione (riconosciamo qui le caratteristiche esaltate dalla tradizione tedesca) e ad ogni punto Renan eleva un’obiezione tranchante talvolta spiritosa.

1.
Dalla razza, sostengono alcuni con sicurezza
(p. 11)
ma l’obiezione è:

La verità è che non esiste la razza pura e che basare la politica sull’analisi etnica significa fondarla su una chimera
(p. 12)

e in conclusione la storia umana differisce essenzialmente dalla zoologia (p. 14)

2.
La lingua invita ma non forza ad unirsi; gli Stati Uniti e l’Inghilterra, l’America Latina e la Spagna parlano la stessa lingua e non formano un’unica nazione. Al contrario, la Svizzera, così ben fatta, poiché si è costituita sulla base del consenso delle sue varie lingue, consta tre o quattro lingue. C’è nell’uomo qualcosa di superiore alla lingua: la volontà. La volontà della Svizzera di essere unita, malgrado la varietà dei suoi idiomi, è un fatto assai piú importante di una identità ottenuta con la violenza.
(p. 15)

3.
Neanche la religione può offrire una base sufficiente per la costituzione di una moderna nazionalità.
(p. 16)

La religione è diventata una questione personale; riguarda la coscienza di ciascuno.
(p. 17)

4.
La comunanza di interessi è sicuramente un potente legame tra gli uomini. Bastano, tuttavia […] a fare una nazione? […] Uno
Zollverein* non è una patria. (p. 18)

*Associazione, società doganale

5.
La geografia, quelli che vengono definiti i confini naturali, ha certamente una parte considerevole nella divisione delle nazioni. La geografia è uno dei fattori essenziali della Storia, i fiumi hanno guidato le razze, le montagne le hanno fermate.
[…] Si può dire, tuttavia, come credono alcuni partiti, che i confini di una nazione sono già segnati sulla carta geografica […]?Non conosco dottrina piú arbitraria e funesta. (p. 18)

La terra fornisce il sostrato, il campo della lotta e del lavoro; l’uomo fornisce l’anima. L’uomo è tutto nella formazione di quella cosa sacra che si chiama popolo. Tutto ciò che è materiale è insufficiente. Una nazione è un principio spirituale, prodotto dalle profonde complicazioni della storia.
(p. 19)

In conclusione, il terzo paragrafo ci fornisce una sintesi della visione di Renan:


Una nazione è un’anima, un principio spirituale. Due cose, che in realtà sono una cosa sola, costituiscono quest’anima e questo principio spirituale; una è nel passato, l’altra nel presente. una è il comune possesso di una ricca eredità di ricordi; l’altra è il consenso attuale, il desiderio di vivere insieme, la volontà di continuare a far valere l’eredità ricevuta indivisa.
(p. 19)

La nazione
[…] presuppone un passato, ma si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme. L’esistenza di una nazione è (mi si perdoni la metafora) un plebiscito di tutti i giorni. (p. 20).

testo in lingua

versione francese (djvu da wikimedia)
http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Renan_-_Qu%27est-ce_qu%27une_nation_%3F.djvu

versione inglese
http://www.tamilnation.org/selfdetermination/nation/renan.htm

versione tedesca
www.dir-info.de/dokumente/def_nation_renan.shtml

versione spagnola (pdf)
www.cepchile.cl/dms/archivo_1050_1207/rev38_acevedo.pdf

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