Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini

Lettera dalla Cappadocia – PPP

Caro lettore, sono molto lontano dall’Italia (a Nevsheir, una città della Cappadocia, nel centro dell’Anatolia); già da alcuni giorni non vedo un giornale italiano, non so cosa fanno i politici al governo e all’opposizione; non so chi ha vinto il Giro d’Italia; non so quali siano gli ultimi colpi di scena del «caso Lavorini»54 ecc. Se dicessi queste cose a casa mia, mi si accuserebbe di essere una persona «fuori dal mondo» invece sono semplicemente «fuori dall’Italia». Degli interessi che là mi parevano vivi e sinceri sono di colpo caduti: si è fatto il vuoto là dove prima c’era… il caos. Si tratta certamente di un momento di disorientamento e di eccesso di distrazione, ma mi sembra di essere strappato del tutto dal mio terreno, di aver perso le radici: con la conseguente piacevole sensazione di galleggiare (nel mondo).

L’Italia è dunque un gran vuoto: coi suoi problemi seri ma owii. Un mucchio di cenere, per chi vede altri fuochi. Potrei benissimo non tornare mai più: non mi stupirebbe e non mi addolorerebbe. Mi lascerebbe indifferente, perché – penserei – l’Italia non c’è. O, se c’è, è irrilevante e irrisoria. Proprio in questi giorni anche in Turchia si è avuta la festa della Repubblica, e in tutte le città imbandierate sono sfilati reparti dell’esercito, si son pronunciati discorsi di amore e fedeltà alla Nazione ecc. Tutta questa «realtà» turca ha il potere di mettere in forse l’analoga «realtà» italiana. Se la Nazione è questa, essa è una totalità che non può lasciar posto ad altre totalità: il «sentimento della nazione» non può per sua natura essere oggettivo: esso è esclusivo. Tutto ciò che è al di fuori di esso è un puro e semplice «altrove» irreale. Io, rispetto all’Italia, mi trovo in questo «altrove». Ci si sta benissimo. Non faccio dell’antinazionalismo. Sto raccontando o meglio descrivendo un sogno.

Dovevo avere un elicottero, per le riprese del mio film. Me l’avrebbe dovuto procurare l’esercito. La Turchia è una Repubblica laica fondata sull’esercito. Ma alcuni giorni fa stava per passare al Senato una Legge, già passata al Parlamento, per cui si sarebbero restituiti i diritti civili a determinati condannati politici. Ma l’esercito ha minacciato rappresaglie nel caso che tale Legge fosse passata: si è avuta cosi una crisi, risolta, poi, rimandando la votazione sulla Legge a dopo le elezioni, che non sono lontane. La tensione politica tuttavia continua. Passi per l’elicottero: otterrò, male, lo stesso effetto con lo zoom, dalla cima di qualche torrione – scalata più, scalata meno… -. Ciò che è curioso in questa faccenda dell’esercito, è che pare che a impuntarsi e a minacciare non siano state le altissime gerarchie, ma le medie, cioè a dire i colonnelli.

Saltando dal nazionalismo turco a quello italiano, anche in Italia, prima che io partissi, si parlava molto di colpo di Stato militare. È vero che da noi si parlava di «generali»: ma forse era la forza dell’abitudine. In realtà, mi sembra che siano le gerarchie medie degli eserciti a essere inquiete. La violenza è sempre segno di debolezza o di incertezza. Vuol dire che in Turchia, in Italia, in Argentina, in Grecia ecc. i colonnelli si sentono deboli e incerti (almeno, o in parte, inconsciamente), e perciò tendono alla violenza. In genere si è deboli e incerti quando si è perduto qualcosa: di materiale, ma anche di non materiale. La perdita disorienta.

Un mondo in distruzione
A Nevsheir il meccanismo dei miei pensieri, nel mio «rapporto con la realtà» – anche quella priva della fortuna di essere turca – è lo stesso di sempre. Non ho bisogno dell’Italia per pensare.

Non sto facendo del vecchio anti-nazionalismo, ripeto. L’antinazionalismo prevedeva una nazione, per negarla. A me in realtà interessa relativamente negare l’Italia (è un interesse sopravvissuto o, meglio, ritardato). Infatti, ora che l’Italia (come in sogno) mi è fisicamente negata, i problemi che mi occupano sono gli stessi: è un puro caso che, nella fattispecie, siano una variante turca dei problemi italiani. Essi sono i problemi del mondo moderno, che, per esempio, sta sostituendo il mondo precedente distruggendolo. Vedere distruggere i vecchi villaggi cavernicoli della Cappadocia e veder distruggere i Sassi di Matera mi dà lo stesso dolore.
(giugno 1969, raccolto in Pier Paolo Pasolini, I dialoghi, prefazione di Gian Carlo Ferretti, a cura di Giovanni Falaschi, Roma, Editori Riuniti, 1992, pp. 644-645)

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